Caso Cucchi. “In un mondo di menzogne, dire la verità è un atto rivoluzionario”. George Orwell

Questa è la frase che mi è venuta in mente quando ho letto le motivazioni del Giudice Monocratico del Tribunale Ordinario di Roma -VII Sezione Penale – sentenza n 4447/2022 del 07 Aprile 2022- riguardante il caso Cucchi/Ter.

Una storia di depistaggi, una storia molto triste ma altresì molto significativa che supporta ben chiaramente l’affermazione che, la verità, sempre, è una sola: ciò che bisognerebbe fare è ricercarla, senza accontentarsi di recepire ciò che potrebbe sembrare, senza fermarsi al primo sguardo ma, provare a vedere le cose sempre con un piglio particolarmente critico e proseguire, sempre, a comprendere meglio i fatti.

Ho pensato alla frase di George Orwell, non perché sono stati coinvolti alti dirigenti dello Stato, no, assolutamente no ma perché, forse, taluno ritiene che insistere, quando l’insistenza sia supportata dalla “verità” dell’azione, in certi casi sia inutile, impossibile, sconveniente…

Io credo invece che il coraggio e la tenacia di Ilaria Cucchi insieme alle altre professionalità che l’hanno supportata, sia la prova che in certe situazioni vi sia una sola cosa da fare e cioè, “non recedere”.

A chi fosse sfuggito qualche passaggio importante di questa vicenda riguardante il Caso Cucchi e descritta in una sentenza di ben quattrocento pagine, vorrei ricordare qualche passaggio non foss’altro per ricordare chi, anni addietro, affermava che se vi è una cosa che uccide questa, è il silenzio ( Giovanni Falcone).

A seguito dell’attività istruttoria compiuta, il Giudice Monocratico Dott Roberto Nespeca ha emesso le seguenti condanne: Il generale Alessandro Casarsa, all’epoca dei fatti comandante del gruppo di Roma è stato condannato a cinque anni di carcere per avere spinto i sottoposti a firmare due annotazioni di servizio false; il colonello Francesco Cavallo e l’ex comandante della compagnia di Montesacro, Luciano Soligo, dovranno scontare quattro anni di reclusione; due anni e mezzo di reclusione per Luca De Cianni, un anno e nove mesi per Tiziano Testarmata, una anno e tre mesi per Francesco Di Sano, un anno e tre mesi per Lorenzo Sabatino e un anno e nove mesi per Massimiliano Colombo Labriola.

Le accuse contestate agli otto militari sono risultate le più diverse: dal favoreggiamento al falso, dall’omessa denuncia alla calunnia.

Per i più attenti sarà davvero interessante leggere per intero la sentenza in quest’occasione, peraltro, vorrei solo ricordare qualche passaggio di questa assurda vicenda capace di rendere noto quanto, talvolta, la verità possa essere difficile da trovare.

Dal processo, è emerso quanto segue.

Il motivo per cui si sono perfezionate le false annotazioni e depistaggi, avevano il precipuo scopo di allontanare l’attenzione dai carabinieri così da evitare qualsiasi coinvolgimento del comandante del gruppo questo, poiché, già altri militari erano stati coinvolti nei fatti che hanno avuto come destinatario il Presidente della Regione Lazio Marrazzo.

Sostanzialmente, si voleva evitare che l’immagine dei vertici territoriali dell’arma venisse offuscata e, per evitare ciò, era necessario che le indagini sulla morte del giovane Cucchi venissero falsate, depistate…

Dirigenti dello Stato hanno lavorato nell’ombra per nascondere i fatti del 2009 e cioè, per nascondere la morte del giovane Cucchi quando, lo stesso, era nelle mani dello Stato.

Il Pubblico Ministero Giovanni Musarò, riferendosi ai fatti del 2015 e cioè al periodo in cui la Procura della Repubblica di Roma aveva riaperto l’inchiesta, aveva affermato: “un intero paese è stato preso in giro per sei anni” attraverso “un’attività di depistaggio ostinata, a tratti ossessiva,in tale occasione, l’allora comandante del reparto operativo, Lorenzo Sabatino, venuto a conoscenza delle false annotazioni di servizio, non aveva informato i p.m. e per questo era stato condannato a un anno e tre mesi di reclusione.

La dinamica della vicenda, è facilmente rilevabile dalle motivazini del Tribunale

è un dato pacifico che furono redatte due versioni delle annotazioni datate 26 ottobre 2009 a firma di Gianluca Colicchio e Francesco di Sano, avente un contenuto divergente in relazione alle condizioni fisiche in cui versava Stefano Cucchi durante la sua permanenza presso la Stazione dei Carabinieri di Tor Vergata”…..in pratica come da disposizioni fornite dal tenente Colombo Labriola, avrebbero scritto una prima relazione di servizio, il 26 Ottobre 2009, rendendo noto cosa avevano avuto modo di vedere durante il proprio turno di servizio nonché, i malesseri manifestati dal Giovane Cucchi; ….

Queste annotazioni, …..”è provato che il contenuto di tali annotazioni fu modificato in data 27 Ottobre 2009 secondo indicazioni del comandante del gruppo Roma, Alessandro Casarsa. Le modifiche erano state sollecitate” attraverso il suo braccio destro, tenente colonello Francesco Cavallo, dal comandante della compagnia dei carabinieri Montesacro, Luciano Soligo, da cui dipendeva la stazione di Tor Sapienza…”.

Di fatto, quelle relazioni arrivarono al “comando provinciale e, attraverso esso, al comando generale per poi pervenire al ministero della difesa e infine al gabinetto del ministero della giustizia”…

Questa, in estrema sintesi la vicenda la quale, purtroppo, rappresenta solo un appendice di quanto la Corte di Cassazione ha accertato il 04 Aprile scorso e cioè, che i due carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro pestarono il Giovane Stefano Cucchi provocandone la morte con la conseguenza che, agli stessi, venne inflitta la pena a dodici anni di carcere a titolo di omicidio preterintenzionale.

Pare davvero d’obbligo una riflessione.

Posto che l’atteggiamento violento da parte di chi dovrebbe “mantenere l’ordine” meriterebbe una importante rivisitazione sulle modalità di formazione professionale e di avanzamento nella carriera di alcuni dipendenti del Ministero della Difesa, ciò che vorrei evidenziare non è tanto l’attribuibilità di tali fatti ad appartenenti dell’arma dei carabinieri ma, soprattutto, quanto sia importante, nel ricercare la verità e nell’agire in genere, evitare qualsiasi atteggiamento deferente e obbediente a prescindere soprattutto, quando ad essere coinvolti siano interessi di particolare importanza e, quanto sia altresì importante non intimorirsi davanti a  possibili ostruzionismi, depistaggi e arroganze provenienti da chi che sia ma, al contrario, quanto sia invece importante, nell’assumere un atteggiamento assolutamente rispettoso, fare in modo che lo stesso non sia mai caratterizzato da un timore reverenziale che, a prescindere da questa vicenda, giova solo a chi, purtroppo per loro, non posseggono altri strumenti per gestire in modo adeguato le proprie professionalità.

Il caso Cucchi ci ricorda che, malgrado tutto e quindi malgrado il fatto che dire la verità in certi contesti possa apparire come un atto rivoluzionario, nel contempo e negli stessi contesti, può valere davvero la pena fare in modo che la verità traspaia in modo chiaro anche perché, non bisogna dimenticare che, malgrado tutto, non sono poche le donne e gli uomini che, seppur a fatica e, seppure nell’ombra, proseguano a rappresentare le proprie professionalità con colorazioni che dovrebbero, davvero, splendere nel modo che meritano.

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